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REFERENDUM ACQUA

Per: i Professori e gli esperti del settore

PERCHE’ QUESTA RACCOLTA FIRME?

Le tante persone che si sono mobilitate per l’acqua, segnalano problemi concreti e meritano rispetto. La gran parte di loro è in buona fede, e più ancora, accomunata da un sincero desiderio di fare del bene.

Ma chi si occupa da anni, per professione, del tema dei servizi pubblici o dell’acqua in particolare, non può che restare esterrefatto e inorridito di fronte alla mistificazione e alla brutale semplificazione che è in corso. Abbiamo ruoli e tendenze politiche diverse, ma di fronte a dati scorretti, notizie vere ma assemblate in modo tendenzioso, oppure autentiche leggende urbane, non possiamo non reagire.

Ecco il perché di questa simbolica raccolta di firme, a pochi giorni dal referendum. Un modo per offrire qualche decisivo spunto di riflessione prima del voto.


DIECI MOTIVI PER DUBITARE DI QUANTO SI E’ DETTO IN QUESTI MESI

1)
Ci si dice che il voto è “per l’acqua pubblica”. Il referendum riguarda anche rifiuti e trasporti. Esaminando le leggi ci si accorge che nessuno ha mai negato che l’acqua sia pubblica. La cui valenza di servizio universale, accessibile a tutti e garantito a tutti, non è, non è mai stata, in discussione.

2)
Ci si dice che la “gara” è l’anticamera della svendita al privato. Al contrario, la gara può essere il modo - per l’azienda pubblica – di mostrare le proprie virtù.
Non si dice che gli enti locali hanno molte possibilità di mantenere la gestione pubblica se lo desiderano, ma sono obbligati a produrre evidenza della fondatezza di tale scelta, e a risponderne davanti ai cittadini.

3)
Ci si dice che affidare la gestione a privati è sempre e comunque un male, enfatizzando oltremisura problemi e difficoltà che pure esistono; ma si tacciono i molti casi in cui è la gestione pubblica a funzionare come “poltronificio” e “assumificio” e non come custode del bene comune.

4)
Ci si fa credere che: “via i privati, via il profitto e l’acqua tornerà a sgorgare gratis”. Ma non si spiega che i soldi necessari ricadranno sotto forma di spesa pubblica e tasse.

5)
Ci si chiede di votare “contro il profitto” contenuto nelle tariffe, ma non ci si dice in che modo i gestori o gli enti locali potrebbero procurarsi le risorse finanziarie necessarie per sostenere gli investimenti. Da notare che il decreto che ancor oggi disciplina le tariffe, fu firmato nel 1996 dal Ministro Antonio Di Pietro.

6)
Ci si dice che “l’acqua non si vende”, ma poi quando si chiedono come faremo a sostenere il costo di gestione (che comunque va pagato) si ricorre a improbabili soluzioni di finanza creativa, o vaghi risparmi in altri capitoli della spesa pubblica.

7)
Si vagheggiano gestioni cooperative e solidali, ma non si riesce a proporre un esempio concreto in cui tale “modello” stia funzionando. Vi si assimilano erroneamente, gestioni pubbliche che funzionano bene, proprio perché hanno saputo creare aziende equilibrate che si finanziano con le tariffe. Olanda, Germania, Stati Uniti, Svezia, Finlandia, Austria (l’elenco potrebbe continuare): realtà dove la gestione è pubblica, e non a caso le tariffe sono le più alte del mondo.

8)
Anche chi promuove il privato punta alla demagogia. Delle gestioni pubbliche si fa un indistinto coacervo di carrozzoni in mano alla politica. Dalle gare o dalla regolazione indipendente ci si aspettano soluzioni taumaturgiche, dimenticando che la regolazione deve essere costruita prima e non dopo

9)
Si favoleggia di una concorrenza che non può riguardare l’acqua. Si prospettano gare al migliore offerente, che qui non possono funzionare.

10)
Sui mezzi di comunicazione, gli opposti schieramenti si affrontano a colpi di slogan.
A chi non accetta di essere collocato sotto alcuna bandiera del SI o del NO – anche se per motivi razionali e dimostrabili - la cosiddetta “par condicio” impedisce l’accesso alle trasmissioni radio e tv.

CHIEDIAMO DI SOTTOSCRIVERE
con nome, cognome e professione
LE DIECI OSSERVAZIONI E LE E SEGUENTI CONCLUSIONI

Non intendo rassegnarmi ad un modo di ragionare primitivo, che disprezza i dati empirici e l’analisi fattuale.

Non intendo concentrarmi sugli aggettivi - pubblico vs. privato – ma su aziende o enti locali. Soggetti comunque guidati da una razionalità economica e non più enti erogatori privi di vincolo di bilancio, come le gestioni dell’acqua sono state per decenni.

Ritengo che l’eventuale coinvolgimento privato nella gestione - utile quando il pubblico non ce la fa con le proprie risorse - deve essere preceduto e accompagnato da un sistema di regolazione efficace e da un quadro normativo chiaro.

Non credo che la soluzione per finanziare costi e investimenti nel settore idrico siano la fiscalità generale e la spesa pubblica.

Ritengo che il referendum stia distraendo l’opinione pubblica distorcendo i problemi e prospettando false soluzioni. Non è un gioco cui mi interessa giocare.

Se deciderò di andare a votare per le domande sull’acqua , turandomi il naso, è solo per il profondo rispetto che nutro verso l’istituto democratico del referendum.
Qualunque sia l’esito, il 14 giugno 2011 i problemi resteranno quelli di sempre: un settore che fa una fatica enorme a mobilitare le risorse necessarie per adeguarsi a standard moderni, soprattutto sul versante della depurazione.

Finita la bagarre referendaria, forse si potrà ricominciare a ragionare.
Se serve un supporto per ragionare insieme, razionalmente, io ci sarò.


Promotore: Antonio Massarutto – professore di Economia Pubblica - Università di Udine


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